A volte le canzoni nascono da un’emozione forte che si prova durante un istante, un preciso momento in cui qualcosa cattura, avvolge e segna dentro. Senti qualcosa, un emozione che percepisci soltanto tu, davanti un tramonto, durante un incontro, tra le pagine di un libro. Qualcosa segna e commuove a tal punto da scrivere una poesia o una canzone.
Polvere di Stelle è nata durante una delle mie letture notturne, un tempo, quando ancora avevo energie per tuffarmi dentro un romanzo di milleduecento pagine. Arrivato a pagina 598 qualcosa mi ha colpito, insieme a Khader, mi sono ritrovato a passeggiare verso il molo di Colaba:
…C’incamminammo verso Colaba. Nazir, massiccio e scimmiesco, ci seguiva a circa un metro di distanza, tenendo d’occhio la strada. Al Sassoon Dock attraversammo la strada e passammo sotto l’arco che sorgeva all’ingresso principale del vecchio arsenale. L’odore dei gamberi lasciati seccare al sole in alti muri rosa mi diede un urto allo stomaco, ma quando giungemmo in vista dell’acqua il tanfo fu disperso dalla intensa brezza marina. Avvicinandoci ai moli fummo costretti a farci strada in una calca di uomini che spingevano carretti e donne che trasportavano in equilibrio sulla testa ceste piene di ghiaccio e pesce. Le fabbriche che producevano il ghiaccio e lavoravano il pesce aggiungevano un sottofondo meccanico alle urla dei banditori e dei compratori. Al molo erano ormeggiate una ventina di grandi barche da pesca di legno, identiche ai vascelli che cinquecento anni prima veleggiavano nelle acque del mare Arabico, lungo la costa del Maharashtra. Qua e là, fra una barca e l’altra, erano alla fonda imbarcazioni più grandi e costose, in metallo. Il contrasto fra quelle carcasse arrugginite e sgraziate e le eleganti barche di legno raccontava una storia, una saga moderna, sul passaggio del fascino romantico della vita marinaresca alla brama fredda e calcolata di profitto degli armatori.
Sedemmo su una panchina di legno in un angolo tranquillo e ombroso del molo, dove a volte i pescatori si sedevano per dividere i loro pasti. Khader fissò i vascelli di legno che mossi dalla marea beccheggiavano genuflettendosi all’immensa distesa del mare.
Aveva la barba e i capelli corti quasi completamente bianchi. La pelle ancora elastica del volto magro aveva il colore del grano maturo. Osservai il suo volto. Naso lungo e delicato, fronte ampia, labbra appena incurvate verso l’alto. Mi chiesi – non era la prima volta, e non sarebbe stata l’ultima – se l’amore per quell’uomo poteva costarmi la vita.
<<La storia dell’universo è una storia di movimento>>, attaccò Khaderbahai continuando a fissare le barche che si scuotevano come cavalli alla briglia. <<L’universo che conosciamo – questa è solo una delle sue tante vite – cominciò con un’espansione così rapida e smisurata che possiamo parlarne, ma ci è impossibile capirla, o anche solo immaginarla. Gli scienziati lo chiamano Big Bang, ma non fu un’esplosione paragonabile a quella di una bomba. Nei primi istanti dopo quella gigantesca espansione, nelle prime infinitesimali frazioni di secondo, l’universo era come una ricca zuppa fatta d’ingredienti semplici. Talmente semplici da non essere ancora atomi. Mentre l’universo si espandeva e si raffreddava, quei piccoli elementi si unirono e formarono particelle. Poi le particelle formarono i primi atomi. Poi gli atomi costituirono le molecole. Poi le molecole si unirono e crearono le prime stelle. Le stelle seguirono il loro ciclo, ed esplosero producendo una pioggia di nuovi atomi. I nuovi atomi si unirono e formarono altre stelle e pianeti. La materia di cui siamo fatti proviene da quelle stelle morenti. Siamo fatti di stelle…
…L’universo ha una sua natura, se vogliamo simile alla natura umana. La natura dell’universo è di combinare, costruire, creare strutture via via più complesse. Agisce sempre in questo modo.
Se le circostanze sono favorevoli, particelle di materia si uniranno per creare aggregati più complessi. Questa caratteristica del nostro universo – la tendenza a sviluppare un ordine, a creare combinazione di elementi ordinati – ha un nome. La scienza occidentale la chiama “tendenza alla complessità”. E’ così che funziona l’universo>>.
Tre pescatori in lungi e canottiera avanzarono timidamente verso di noi. Uno di loro portava due contenitori di vimini con bicchieri d’acqua e chai fumante. Un altro reggeva un vassoio colmo di dolcissimi laddu. Il terzo teneva su palmi delle mani un cilam due goli di charas. <<Desidera bere il tè signore?>> chiese educatamente in hindi uno degli uomini. <<Desidera fumare con noi?>>
Khaderbhai sorrise e fece un cenno d’assenso oscillando il capo. I pescatori avanzarono in fretta, e porsero i bicchieri di chai a Khaderbhai, a me e a Nazir. Si accovacciarono sul terreno di fronte a noi e prepararono il cilam. Khaderbhai ebbe l’onore di accendere la pipa, e a me toccò il secondo tiro. La pipa fece due volte il giro del gruppo, poi il terzo pescatore esalò un’ultima boccata di fumo azzurrino e svuotò il fornello mormorando: <<Kalaass…>> “Finito…”
Khaderbhai continuò a parlarmi in inglese. Ero sicuro che i tre pescatori non riuscissero a capirlo, ma rimasero con noi, fissando con attenzione il volto di Khader. <<Come dicevo, l’universo è diventato sempre più complesso a partire dall’istante della sua nascita. Questo avviene perché è nella sua natura. La tendenza alla complessità ha portato l’universo da una semplicità quasi perfetta al tipo di complessità che vediamo tutto intorno a noi, ovunque volgiamo lo sguardo.
L’universo è sempre in azione. Procede continuamente dalla semplicità alla complessità>>.
<<Credo di capire dove vuoi arrivare>>.
Khaderbhai scoppiò a ridere. I pescatori risero con lui. <<L’universo>>, proseguì, <<è partito da una semplicità quasi assoluta, e per quasi quindici miliardi d’anni è diventato sempre più complesso. Fra un miliardo d’anni sarà ancora più complesso di come lo conosciamo ora. L’universo progredisce verso una complessità assoluta. Procede verso…qualcosa. Può darsi che noi non esisteremo. Può darsi che nella complessità assoluta non esisteranno più un atomo di idrogeno, una foglia, un essere umano, un pianeta. Tuttavia ci stiamo muovendo in quella direzione…tutto nell’universo procede verso quella meta. E quella complessità suprema, la meta verso cui tutto è diretto, è ciò che ho scelto di chiamare Dio>>.
<<Non credi che nell’universo possa essere tutto molto più casuale?>> chiesi cercando di anticipare lo sviluppo del ragionamento di Khader. <<Come giustifichi gli asteroidi giganti e cose del genere?
Il nostro pianeta potrebbe essere fatto a pezzi da un asteroide gigante. Di fatto è una probabilità statistica non trascurabile. E il nostro sole è destinato a spegnersi…non è forse l’opposto della complessità? La tua teoria come giustifica che il nostro complessissimo pianeta finirà a pezzi, si ridurrà di nuovo in atomi, e il sole si spegnerà?>>
<<Buona domanda>> rispose Khaderbhai. Il sorriso soddisfatto mise in mostra i denti leggermente distanti, color avorio. La discussione lo appassionava, e mi resi conto di non aver mai visto Khaderbhai così esaltato ed entusiasta. Agitava le mani nell’aria per illustrare o sottolineare i suoi argomenti. <<E’ vero, la terra potrebbe finire in frantumi, e un giorno il nostro bel sole si spegnerà. E, per quanto ci è dato sapere, noi esseri umani siamo la manifestazione più sviluppata della complessità in questo angolo di universo. Sarebbe senza dubbio una grave perdita se venissimo distrutti, sarebbe un terribile spreco del processo di sviluppo. Tuttavia il processo continuerebbe. Noi siamo espressioni di quel processo. I nostri corpi sono figli di tutti i soli e di tutte le stelle che con la loro distruzione hanno fornito gli atomi di cui siamo composti. E se venissimo annientati da un asteroide, oppure ci distruggessimo con le nostre stesse mani, ebbene, in un altro punto dell’universo il nostro livello di complessità – un livello di complessità dotato di coscienza in grado di capire il processo – verrebbe duplicato. Non intendo dire che ci sarebbe gente esattamente uguale a noi. Intendo dire che da qualche altra parte dell’universo si svilupperebbero esseri pensanti complessi. Noi cesseremmo di esistere, ma il processo continuerebbe. Forse mentre siamo qui a parlarne, sta accadendo in milioni di mondi. In effetti è molto probabile che si stia verificando in tutto l’universo, perché è così che funziona l’universo>>.